SACRO E PROFANO
Ho cominciato ad andare in Mtb quando avevano il manubrio da corsa e le usavi per farci di tutto. Dai passi alpini alla direttissima del Mottarone alle vacanze in Corsica. Non posso quindi non amare le Gravel, e pensare di loro la stessa cosa. Inoltre, mai come quando tempo e spazio sono limitati (libera traduzione di DPCM), ti permettono di allenarti e divertirti senza troppi paletti. Ecco perché amo anche il Ciclocross: tutti gli ingredienti della sua essenza sono lì, a portata di mano, disseminati in uno spazio semplice e limitato. Come l’acido lattico e la fatica, che dopo poche pedalate fanno bruciare le gambe. Il “mio” bosco è questo. Dentro c’è tutto, silenzio compreso. E in questi tempi è un privilegio.
I chilometri sotto le ruote non li ho contati, ma quando non vesto i panni del succhiamanubrio è un numero di cui poco mi importa. Ho invece misurato il tempo che è passato dal momento in cui ho aperto il cancello. Tre ore piene di foglie, tracce, ricci, radici, erba, tronchi, fango, aghi di pino, libertà. Assoluta. Come un bambino che si intrufola in un immenso parco giochi deserto e ne esce solo quando cala il sole, di soppiatto come ci è entrato.
Quello dei Cristiani non so se esista, ma credo che il Paradiso dei Ciclisti assomigli molto a questo. E non c’è bisogno di comportarsi bene tutta la vita per poterci entrare. Bastano la bici giusta e un po’ di faccia da culo.