Ci siamo lasciati nel 2019 dopo Cremona con la comparativa delle migliore sportive sul mercato e siamo oggi a Vallelunga per la nuova comparativa SBK stradali. Ve le presentiamo: Aprilia RSV4 1100 Factory, Ducati Panigale V4 SP2; Honda CBR 1000RR-R Fireblade, Kawasaki ZX-10 R, Yamaha R1M. Avete notato un’assenza? Nonostante un regolamento a nostro avviso inattaccabile BMW ha deciso di non partecipare. onore quindi ai cinque sfidanti che hanno voluto mettersi in gioco.
Come abbiamo lavorato
Quest’anno abbiamo voluto lavorare come nelle competizioni. Il regolamento? Molto semplice, le moto dovevano essere tassativamente di serie, con ABS sempre inserito e pastiglie freno di serie. Volevamo giudicare lo stato dell’arte dei prodotti che trovate dal concessionario. Ogni pilota ha avuto un’ora di tempo per ogni moto per lavorare con i tecnici e definire l’assetto giusto per il time attack. Ai tecnici Pirelli il compito di stabilire la corretta pressione di esercizio. Le uscite delle moto sono state sorteggiate, secondo una griglia che ha evitato di avere un primo e un ultimo. Perché la prima moto a uscire con un tester era la terza o quarta con l’altro, questo per bilanciare quanto più possibile i tempi sul giro. Si, stavolta non abbiamo lasciato niente al caso.
Come abbiamo votato
La votazione? A punteggio e in trentesimi come sempre per le nostre comparative i tre tester hanno votato 22 voci a cui si sono aggiunti i punteggi della dotazione del tempo sul giro (con correttivi secondo i distacchi) e del prezzo su cui è stato usato un coefficiente correttivo, perché si può essere ricchissimi in dotazione ma se costi il doppio degli altri un minimo di coefficiente ci vuole. L’obbiettivo come già spiegato era trovare la moto in grado di offrire il pacchetto migliore.
Perché Vallelunga?
Il circuito romano – 4085 metri e 15 curve – è il palcoscenico perfetto per una comparativa delle sportive. Lo abbiamo scelto perché offre tutti gli scenari possibili per far emergere non una singola qualità ma il miglior pacchetto. In questo circuito trovate curve e cambi di direzione velocissimi, allunghi fino a 280 all’ora (con le 1000) dove contano motore e stabilità, e una parte, quella “storica” più lenta e tortuosa in cui contano agilità e buona elettronica per uscire forte dalle curve gestendo al meglio trazione e impennata. E i freni sono abbastanza sotto stress perché le staccate della curva Campagnano, Soratte, Roma sono abbastanza violente. Insomma, qui non vince chi ha più motore, non vince chi è più agile, vince chi è in grado di “mettere insieme tutti i pezzi”.
I tester
Quest’anno abbiamo deciso di lavorare di fino tre soli tester (di cui due sono piloti in attività) hanno provato le moto per un’ora ciascuno potendo lavorare a piacimento con i tecnici delle varie Case per poter definire l’assetto ideale. Al cambio pilota la moto tornava con assetto standard ripartendo da zero. In questo modo abbiamo potuto capire tra le varie moto presenti quella più facile o rapida da sistemare. Massimo Roccoli (6 volte campione italiano Supersport 600) e Fabrizio Perotti (Pilota CIV e National Trophy veloce veramente con ogni tipo di moto) si sono alternati al manubrio delle 5 concorrenti. Il Tester è Stefano Cordara.
Aprilia RSV4 1100 Factory
Una pietanza con gli ingredienti perfetti, ma in cui hai sbagliato a dosare il sale. Ecco, fossimo a Masterchef sarebbe questo il giudizio sull’Aprilia. Ingredienti perfetti perché la V4 veneta dopo anni (ricordiamo che il telaio è datato 2008 ed è ancora li a giocarsela) è ancora una moto supercompetitiva. Il troppo sale è l’assetto troppo rigido con cui ci è stata proposta e che ci ha costretto a inseguire, lavorando con i tecnici, un assetto più adatto a far rendere al meglio la moto cercando soprattutto il feeling con l’anteriore. Assetto che per la V4 è fondamentale perché la RSV4 è un attrezzo di precisione, super efficace quando è perfettamente a punto, un po’ difficile quando invece è “fuori” dal suo perimetro di perfezione. È una vera moto da corsa la RSV4, sensibilissima alle regolazioni, e che necessita come detto di una accorta messa a punto per rendere al meglio. Detto questo il suo motore è ancora fenomenale per come spinge, la RSV4 ha un “sotto” che solo la R1 riesce ad avvicinare.
Però, l’Euro 5 non ha aiutato il V4 di Noale, rendendolo un po’ più “secco” alla prima apertura del gas, cosa che con tutta quella birra non aiuta la gestione in accelerazione soprattutto nelle curve lente di Vallelunga dove con l’Aprilia si usava molto la prima. Ottima l’erogazione, eccellente l’elettronica (e molto sensibile alle regolazioni), con controllo di trazione e anti wheelie che si issano tra i migliori del lotto. Esagerato l’ABS (uno dei migliori) con queste premesse la RSV4 era una delle contendenti per il giro veloce e se non fosse stato per il già citato assetto se la sarebbe giocata fino all’ultimo. Ma, come detto, la sua sensibilità alle variazioni di setting alla fine ha pagato e nella media sul giro dei tre piloti la RSV4 si è piazzata in scia alla vincitrice. Era e resta una moto molto specialistica con un assetto in sella che in quest’ultima versione riesce ad essere più amichevole con il pilota, ma anche con una certa fisicità richiesta nei cambi di direzione. Un punto a sfavore? Il serbatoio migliore che in passato per il supporto in frenata, ma con uno “spigolo” sgradevole nella zona della calzata. Frenata? Eccezionale, ma la leva anteriore resta molto lontana anche se tenuta nella posizione più vicina.
Ducati Panigale V4 SP2
Ducati ha deciso di schierare la miglior rappresentante della famiglia Panigale. La SP2 a livello di prezzo è decisamente fuori quota rispetto alle altre, ma va detto che di questo abbiamo tenuto conto nel punteggio finale applicando coefficienti correttivi. Impossibile non constatare quanta strada ha fatto il progetto Panigale. Un progetto che Ducati aggiorna praticamente ogni anno e che con il MY 2022 è arrivato secondo noi a completa maturazione. Da moto irascibile e quasi ingestibile alla moto più facile del lotto. E anche più veloce visto che è suo il miglior tempo assoluto registrato a Vallelunga con 1.39.63 in pratica un tempo che l’avrebbe portata (moto di serie…) nelle prime posizioni di una gara del National. Non è la moto più potente (Honda e Aprilia la sorpassano in cavalleria), ma di sicuro è la più sfruttabile di tutte. Il lavoro dei tecnici Ducati si è infatti concentrato nella ricerca della massima sfruttabilità, per rendere le prestazioni impressionanti di questa moto alla portata di tutti. E ci sono riusciti, la V4 SP2 2022 è un “mostro mansueto”, che ti mette subito a tuo agio, che ti fa sentire bene cosa succede sotto l’anteriore, che ti fa star comodo in sella ben protetto dalla carenatura “larga” ereditata dalla V4 R che corre il mondiale SBK.
Solo che quasi Ducati ora è andata dalla parte opposta, tanto che a volte in uscita di curva la moto appare fin troppo “legata” dai controlli. Insomma, bello che si apra il gas e la moto resti estremamente stabile, non impenni e faccia strada. Solo che è capitato di sentire la mancanza di qualche Newtonmetro di spinta. Controlli che sono tantissimi funzionano bene come su nessun’altra moto e consentono regolazioni puntuali praticamente su tutto (dal controllo di trazione all’anti impennamento, al controllo del freno motore).
Per questo motivo la Ducati è forse la moto per cui l’ora di setup quasi non basta, hai come la sensazione che potresti fare ancora meglio lavorandoci ancora. Ecco, questa sua complessità, questo suo limite alto in modo impressionante ma che va raggiunto a step è forse il vero punto debole della V4 di Borgo Panigale. Perché di altri punti deboli di fatto non ne ha. Potente, stabile, facile, ha freni super, un’elettronica da primato e un ABS che è il migliore del lotto. E le ruote in carbonio, va ammesso, cambiano veramente la vita. La Ducati sfodera un’agilità quasi irraggiungibile dalle altre e nel curvone, dove si inverte la marcia in quinta ad oltre 240 orari fa veramente la differenza.
Honda CBR 1000RR-R Fireblade
Se devo indicare la sorpresa della comparativa, indico la Honda. Che se ne arriva a Vallelunga con una moto “normale”, con un motore 1000, i tubi freno in gomma. Ma che quando si tratta di fare il time attack mette il sale sulla coda alla Ducati. La seconda release del progetto della Casa di Tokio ha, in effetti, limato quelli che erano un po’ i suoi limiti ovvero rapportatura sconsideratamente lunga e controlli elettronici un po’ meno raffinati delle top italiane. Ma il motore, beh quello è veramente furioso. Un quattro cilindri che suona come nessuno e che agli alti regimi spinge veramente in modo infernale. Solo che sulla Honda la coperta è corta e la moto dell’ala richiede malizia per dare il meglio. Sotto i 9.000 il quattro cilindri 1000 della Blade è molto “scarico” di coppia il che significa che o lo fai girare come si deve (ovvero da 9 a 15.000) oppure il tempo non esce. Il risultato è che con la Honda spesso si usa una marcia inferiore rispetto alle altre.
Poco male, visto che la rapportatura, pur accorciata rispetto alla prima edizione (tre denti in più di corona), resta molto lunga. Sua la velocità massima assoluta fatta registrare a Vallelunga (272 km/h alla staccata della Campagnano), il che certifica la potenza di questo motore mostruoso che, ricordiamolo, cede ad Aprilia e Ducati 100 centimetri cubi. Compattissima, con pedane alte, quando ci sali sembra di essere su una 600 da tanto è minuta, e la sensazione è quella di guidare letteralmente sulla ruota davanti che a livello di comunicazione è di gran lunga la migliore.
L’elettronica è di alto livello, ma non è il riferimento tra le 5 presenti, pur con tutte le regolazioni possibili (e tante differenti gestioni del motore che fanno molto comodo) alla Honda manca ancora un piccolo step per salire sul trono. Sia a livello di controlli (anche se il posteriore che si intraversa ai piloti più veloci è piaciuto) sia a livello di ABS che quando ingaggiato nelle staccate più violente tende a farsi sentire un po’. E la protezione dall’aria non è il massimo perché il cupolino è realmente compatto. Però le sospensioni semiattive Ohlins (condivise con Aprilia, Ducati e Yamaha) sono davvero lo stato dell’arte per come funzionano e come reagiscono alle regolazioni. La CBR richiede quindi una guida “specialistica”, ma ti ripaga con una efficacia a centro curva e una capacità di chiudere la linea proverbiali, che la aiutano non poco quando di tratta di andare ad aggredire la curva. E se a Vallelunga nella parte stretta ha sofferto un po’, su un circuito scorrevole probabilmente non ce ne sarebbe per nessuno.
Kawasaki Ninja ZX-10R
Il progetto Kawasaki è stato aggiornato alla fine del 2021 e con questa moto Jonathan Rea si sta ancora giocando il mondiale. Sull’efficacia della Kawasaki nel mondiale quindi non ci sono dubbi. La moto di serie, però, accusa dei limiti che la penalizzano un po’ quando si tratta di andare a caccia del miglior giro. In realtà la Ninja resta una gran moto sotto molti aspetti, probabilmente la prima che consiglierei a chi vuole fare il salto dalla classe 600. Facile, con un telaio stabilissimo (ma il meno maneggevole) e sospensioni meccaniche estremamente sensibili e raffinate (la forcella Showa è da prendere ad esempio) è una moto che dal punto di vista ciclistico ti mette immediatamente a tuo agio. La base per andare forte quindi ci sarebbe, anche perché il motore pur non essendo un mostro di potenza, ha una erogazione convincente sia ai medi sia in allungo. Purtroppo, però, i limiti emergono quando si parla di gestione elettronica, la Ninja è afflitta da una risposta al gas non precisa, sporcata da un evidente on-off che soprattutto nelle curve più lente non aiuta il pilota nella precisione della gestione della traiettoria.
L’elettronica è un po’ indietro a livello di controlli, non è possibile ad esempio gestire in modo separato controllo di trazione e di impennata (come su tutte le altre) e i livelli di intervento sono pochi. Quindi alla fine i piloti più veloci hanno deciso di portare tutto a zero per avere le massime prestazioni. Il vero punto debole resta tuttavia l’ABS che è ancora troppo stradale e se stressato nelle staccate più violente tende a “mollare” con troppa frequenza. Peccato perché l’impianto frenante (marchiato Brembo come tutti i migliori), è invece eccellente. Va detto comunque che è anche la più economica tra le moto presenti.
Yamaha R1M
Probabilmente la R1 non funziona a benzina ma come carburante usa l’elisir dell’eterna giovinezza. Sì, perché nonostante sia uno dei progetti più datati (risale al 2015 con un’unica evoluzione per adeguarsi all’Euro 5 nel 2021) la Yamaha resta sempre un brutto cliente per tutte le concorrenti in tutte le comparative, in qualsiasi pista si vada a girare. Il suo pacchetto è ancora oggi estremamente competitivo, questo nonostante il suo motore sia il meno potente del lotto. Ma la R1 dimostra con i fatti che la potenza non è tutto. L’interasse da 600, l’equilibrio complessivo e un motore con una schiena pazzesca poco imbrigliato da controlli elettronici molto permissivi la rendono velocissima.
Non è un caso che nel best lap sia finita in scia a Honda e Ducati con un distacco irrisorio. Il 4 cilindri crossplane ha una erogazione fenomenale, e il punto forte della Yamaha R1 è la capacità di collegare in diretta il polso del pilota alla ruota posteriore. Con lei senti tutto, non hai filtri, gestisci perfettamente ogni cavallo erogato. L’elettronica è buona, non eccezionale, si vorrebbe più controllo soprattutto dell’impennata perché tra le moto presenti la R1 è quella meno gestibile in questo frangente. Tuttavia, fa veramente un sacco di strada e ti consente di prendere il gas in mano molto presto, il che poi alla fine si fa sentire nel tempo sul giro. Punto debole? L’impianto frenante anteriore che non è all’altezza degli altri a livello di potenza e un ABS che pur essendo valido non raggiunge l’efficacia di quelli Aprilia, Ducati e nemmeno Honda. Ma tolto quello la R1 resta una moto straordinariamente competitiva.