STREETFIGHTER O NAKED?
Il segmento delle Streetfighter è stato protagonista di una vera e propria accelerazione, motivata dal fatto che da una parte le stesse sportive da cui queste moto derivano sono diventate più estreme, e dall’altra che le maxi naked hanno incrementato in modo consistente le prestazioni ma pure la versatilità. Un segmento di nicchia, che però ha ancora più di un estimatore –vale circa 2.000 pezzi all’anno – e che le Case continuano ad alimentare con evoluzioni o nuovi modelli. Ora ci pensa Yamaha a buttare un po’ di benzina sul fuoco con la nuova MT-10. Del resto se hai pronto un progetto completo come quello della R1, puoi non sfruttarlo? Per questo motivo proprio da una costola della nuova R1 nasce la MT-10, la naked più potente mai costruita da Yamaha. Anzi la prima, vera streetfighter Yamaha.
Differenze che contano
Cos’è veramente una Streetfighter? Per chiarire il concetto, per me streetfighter è la moto naked ottenuta partendo da una supersportiva di cui sfrutta telaio e motore (Aprilia Tuono, BMW S 1000 R, Triumph Street Triple) e ha il gruppo fari/cruscotto fissato al telaio, lasciando lo sterzo libero. Di sicuro è estrema, sportiva. La Super Naked, invece, (KTM 1290 Super Duke R, Ducati Monster eccetera) ha una ciclistica progettata ad hoc, faro e cruscotto sono solidali con la forcella e in teoria è più versatile.
Radical & Practical
Credevo che la Yamaha MT-10 rientrasse senza ombra di dubbio nella prima categoria. Invece, dopo la lunga spiegazione degli uomini di Iwata e dopo esserci salito, devo ripensare in parte la collocazione di una moto che è stata pensata secondo due dogmi: “Radical & Practical”. Spiego meglio: dal punto di vista concettuale la Yamaha MT-10 è sicuramente una streetfighter, perché come vedremo deriva realmente e in modo piuttosto diretto dalla R1. D’altro canto, però, ha anche una particolare attenzione alla versatilità. Per chiarire ulteriormente il concetto: da una parte trovate ciclistica estrema, ipercompatta, motore potentissimo, soluzioni ipersportive. Dall’altra una sella bassa (825 mm), una posizione comoda, non carica sui polsi come su certe streetfighter, una buona protezione dall’aria (promettono fino a 170 chilometri orari, vedremo se è vero), il cruise control e la possibilità di montare borse laterali semirigide e sella comfort. Insomma questa moto sembra essere estrema da un lato e “turistica” dall’altro. Probabilmente è entrambe le cose assieme. Anche se, parlando del lato turistico, il passeggero con quelle pedane in bocca avrà qualcosa da ridire…
Parente stretta di R1
La stretta derivazione dal motore R1 – con qualche elemento in materiale meno pregiato: le bielle sono in acciaio e non in titanio, i carter in alluminio invece che magnesio – conferma il nobile pedegree della MT-10, che dalla maxi sportiva eredita parecchie cosette interessanti, come ad esempio la fasatura a scoppi irregolari. Rivisto in chiave streetfighter, e quindi con una potenza leggermente ridimensionata (160,4 cv a 11.500 giri) e una curva di coppia ancora più favorevole con un picco di 115 Nm a 9.000 giri, questo motore promette più tiro ai bassi. Il che, piazzato su una moto da 210 kg in ordine di marcia, è musica per le nostre orecchie.
Oltre il 40% delle componenti di questo 4 cilindri (omologato Euro 4) sono nuove: l’albero motore ha il 40% d’inerzia in più, cambiano condotti, testata (camere di combustione, compressione a 12:1 invece di 13:1), pistoni, valvole (più piccole quelle di aspirazione) alberi a camme. E cambia il sistema d’iniezione, che sfrutta un airbox perfino più voluminoso rispetto a quello della R1 (12 litri invece di 10,5) ma perde il secondo iniettore e i cornetti ad altezza variabile, inutili su una moto che non deve frullare fino a 14.000 giri. Chiude il quadro la rapportatura accorciata con la corona ora da 43 denti (R1 41).
Elettronica
L’elettronica è evoluta: non c’è la piattaforma inerziale IMU, fiore all’occhiello della R1, ma non si può certo dire che siamo messi male quanto a controlli. Ovviamente presente l’acceleratore Ride by Wire YCC-T – di cui Yamaha è stata pioniera fin dal 2006 con la R6 – declinato in tre mappature, tutte full power (D-Mode Standard, A più aggressiva, B ancora più aggressiva) e dotate di memoria: l’ultima inserita sarà quella che ritroverete alla riaccensione della moto. Presente il controllo di trazione TCS regolabile su tre livelli (o disinseribile). Interessante come i giapponesi abbiano a cuore “l’animo tamarro” di chi usa queste moto. Se vi prende il mood da stuntman non è necessario disattivare il traction control per cimentarsi in qualche wheelie, ma è sufficiente scegliere il livello 1.
Di serie la MT-10 può vantare la frizione assistita con sistema antisaltellamento e il cruise control che funziona in quarta, quinta e sesta marcia tra i 50 e i 180 km/h.Ciclistica: se possibile la parentela con la R1 è ancora più stretta, anche in questo caso con l’alluminio al posto del magnesio (telaietto reggisella e ruote). Il telaio è lo stesso, identico, dell’ammiraglia sportiva, così come il forcellone. Da questa combinazione scaturiscono misure decisamente “hard core”: 1.400 mm di interasse, roba esagerata per la categoria, con angolo cannotto 24° e avancorsa di 102 mm. Anche le sospensioni, entrambe Kayaba, derivano direttamente da quelle della R1 ma hanno ovviamente un’idraulica dedicata; la forcella adotta lo stesso sistema a cartuccia e ha la stessa escursione di 120 mm e mantiene tutte le regolazioni (precarico molla, idraulica in compressione ed estensione), così come il monoammortizzatore.
Yamaha sembra fare sul serio, sulla scorta della lezione imparata con la FZ1, moto che ha avuto un buon successo, centrata nel look ma un po’ meno nella tecnica, viste le sospensioni, ai tempi un po’ sottotono, e un motore dall’erogazione piuttosto appuntita. La MT-10 è proprio un’altra storia, perché attorno a una base tecnica consolidata Yamaha ha costruito una moto funzionale allo scopo estremamente ed aggressiva nel design. Radical: gli spigoli non si contano e gli abbinamenti di colore in alcuni casi sono decisamente arditi, come per la combinazione Night Fluo, oggetto della nostra prova e che, però, pare piaccia moltissimo. Practical: la dotazione di bordo è completa, la strumentazione sfrutta lo stesso schermo con display da 6 pollici LCD (sulla R1 è un TFT a colori), il cupolino è vero e protegge, non è lì a fare scena, l’ABS Bosch è quello di ultima generazione. Tutto a 12.990 euro, prezzo che, se la Yamaha MT-10 sarà realmente double face come promette non è nemmeno eccessivo. Andiamo a provarla.