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Prova Yamaha Tricity 300

Cresce, in tutti i sensi la famiglia degli LMW Yamaha. Il Tricity 300 evolve il concetto della sospensione anteriore studiato dai tecnici di Iwata, portandolo nel segmento più “caldo” dei tre ruote. Ben fatto, molto abitabile, si guida alla grande e sta in piedi da solo. Tutto a 7.990 euro

RIDE

Dici Tricity e la prima cosa che ti viene in mente è “il tre ruote, quello piccolo”. Yamaha si è fatta infatti apprezzare in questo segmento proprio grazie alla sua particolare visione del mondo dei tre ruote. Leggerezza, facilità, e compattezza hanno reso famoso (e ben venduto) il Tricity 125/155, mezzo perfetto per avvicinare i neofiti al mondo degli scooter. Ora era arrivato il momento di crescere, un po’ perché per Yamaha quello dei LMW (Leaning Multi Wheeler) è un progetto a lungo termine destinato ad allargarsi a molti elementi. E un po’ perché è un gradino più su, nella classe 300, che si gioca la partita più grossa. Già, proprio in quella categoria che l’MP3 si è un po’ “inventata”, quella del tre ruote “furbo” ovvero che sfrutta l’omologazione L5e che consente anche a chi è dotato di sola patente B di guidare mezzi a tre ruote con cilindrata superiore ai 125 cc

QUALITÀ, UNA GARANZIA

Diciamolo, quanto a qualità Yamaha non delude mai. I prodotti di Iwata, moto o scooter che siano, sono sempre realizzati con grande cura e altrettanta attenzione ai materiali. E il Tricity non esce dal seminato, restando nel -bel- solco che scavano da anni TMax e XMax. Non è slanciato. Anzi, abituati a vedere la compattezza del piccolo 125, il 300 appare con una certa imponenza e in effetti, metro alla mano si scopre che il Tricity 300 ha misure leggermente più generose del suo principale concorrente.

NASCONDE IL PESO

Misure che tuttavia non impediscono al 300 Yamaha di essere facilmente approcciabile da chiunque, grazie alla sella a 785 (ma un pelo larga nella zona di passaggio delle gambe) e grazie soprattutto al sopraffino bilanciamento dinamico che Yamaha è riuscita a trovare per il suo tre ruote. Sarà per le ruote più grandi del segmento, sarà per la sospensione anteriore che tanto ci è piaciuta sul 125 e anche sulla Niken, fatto sta che il peso del Tricity 300 sparisce letteralmente appena si superano i 10 km/h.

GRANDE APPOGGIO DAVANTI

Da li in poi il tre ruote Yamaha gratifica il rider con una grande sensazione di appoggio e una guida “liquida”, termine che uso per far capire come la fluidità e la totale assenza di inerzie o di reazioni “diverse” da quello che siamo abituati a trovare accompagna ogni manovra. A questo si abbina l’ormai nota capacità del sistema di sospensioni anteriori Yamaha di copiare qualsiasi cosa senza rimandare nessun tipo di reazione al manubrio. Ottimo.

UN PO’ “SECCO” DIETRO

Di contro, invece, il monoammortizzatore posteriore trasmette reazioni piuttosto secche sulle schiene di pilota e passeggero. Sella azzeccata, morbida il giusto, triangolazione con manubrio e pedana centrata, non è uno scooter che vi permette di allungare troppo le gambe. Sul Tricity non si guida “sdraiati” ma si sta seduti con la schiena eretta e una buona sensazione di controllo.

300 cc MORBIDI

Il motore fa il suo, è lo stesso dell’XMax 300, qui con meno velleità sportive visto che il peso da spingere è superiore. 292 cc e 27 cv che spingono il Tricity 300 a passare agevolmente i 140 orari indicati, anche in coppia. La ripresa è morbida sicuramente meno vivace rispetto al cugino a due ruote, logico. Ma quello che piace di questo motore è l’accordatura perfetta dell’erogazione con frizione e variatore. Aggiungete la totale assenza di vibrazioni, in qualsiasi zona delle scooter (pedana, manubrio, sella) e avrete il quadro completo. Capitolo consumo, Yamaha dichiara 30 km/litro, i 25 sono un dato reale ottenuto nella nostra prova il che considerate prestazioni e peso è un dato tutt’altro che disprezzabile.

COMFORT DA GRANDE

Insomma non fosse per il posteriore un po’ “secco”, il comfort sarebbe davvero sontuoso, anche perché la protezione aerodinamica (e quindi dalle intemperie) è realmente valida con scudo e parabrezza che riparano gran parte del corpo e anche del casco. Da segnalare il plexi non otticamente perfetto nella parte alta che crea un pelo di effetto lente per chi si aggira attorno al metro e settanta di altezza. I più alti e più bassi non avranno invece problemi, fuori da quell’area la visuale è perfetta.

STA IN PIEDI DA SOLO

Yamaha ha affrontato il tema del blocco del basculamento in modo originale. La scelta è quella di assistere il rider sostenendo lo scooter senza bloccarlo completamente come accade sull’MP3. Così sotto i 10 km/h quando cicalino e spia avvisano che è possibile farlo, basta premere il pulsante sul semimanubrio sinistro per attivare il blocco del sistema e fermare lo scooter in posizione verticale. Una assistenza, appunto, che consente di muovere lo scooter a motore spento senza praticamente avvertirne il peso, (lo spingi con un dito) oppure di fermarsi al semaforo senza poggiare i piedi a terra (utile in caso di intemperie).

FERMO, MA NON TROPPO

Non è un blocco totale, le sospensioni continuano comunque a lavorare per cui volendo lo scooter oscilla e se vi fermate non perfettamente verticali un piccolo colpo d’anca ristabilisce l’equilibrio perfetto, non restate “storti”. Il non bloccare completamente le sospensioni aiuta anche in fase di sblocco, perché quel piccolo “gioco” migliora l’equilibrio. Insomma mi sento di promuovere questa scelta come promuovo anche la scelta delle ruote da 14 anteriori (vezzosissima la serigrafia sui cerchi) che hanno consentito di montare dischi di diametro generoso (267 mm). La frenata (anche con pedale come vuole l’omologazione, pedale poco ingombrante sulla pedana ma non così raggiungibile) è efficace morbida, ben modulabile. Curiosa la scelta di Yamaha di adottare leve molto sottili.

 

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